Giuseppe Bolotta - Nov 2015 - L'arte frattale di Jeannette Rütsche - Sperya

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya


This free script provided by JavaScript Kit

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya
Jeannette Rütsche - Sperya
Jeannette Rütsche - Sperya
Vai ai contenuti

Menu principale:

Giuseppe Bolotta - Nov 2015

ABOUT SPERYA > Testi critici

GIUSEPPE BOLOTTA
Novembre 2015



Il Dao di Sperya

Una riflessione antropologica


Un glossario del Tao?

Con questa mostra personale, trasposizione immaginifica degli antichi insegnamenti taoisti, Sperya entra nel vivo della ricerca “Essere. Il Ritorno Invisibile” nell’intento di fornire potenziali chiavi di accesso a LA VIA del Tao.
Il termine “glossario”, dal latino glossarium e dal greco γλῶσσα (glōssa: lingua), designa una nota esplicativa posta accanto ad un termine desueto, specialistico, di non immediata comprensione. D’altra parte, “Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao”, recita il verso con il quale si apre il Tao Tê Ching, uno dei testi fondativi del Taoismo.
L’esposizione “Il Ritorno Invisibile – Glossario” annuncia quindi, sin dal titolo, la portata paradossale e apparentemente contraddittoria del progetto artistico di Sperya: offrire una possibilità di esperienza del Tao, per definizione inafferrabile, impronunciabile e inesplicabile.   
Il problema della “traduzione” dell’antica filosofia cinese assume particolare salienza in rapporto all’osservatore occidentale.

La sfida "incommensurabile” di Sperya: pensiero occidentale e filosofia proto-cinese.
Le opere di “Glossario” costringono l’osservatore a emanciparsi dall’auto-referenzialità etnocentrica delle proprie categorie culturali e ad allargare i propri orizzonti interpretativi ed esperienziali sino ad abbracciare dimensioni cosmiche. La comprensione occidentale della realtà si struttura, infatti, a partire da filtri filosofici e cognitivi incommensurabili rispetto a quelli dai quale muove la saggezza taoista.
Il pensiero occidentale risulta, nello specifico, storicamente agganciato ad un sostrato filosofico che ha fatto del logos la sua pietra angolare. Il logos (la ragione, la parola, la razionalità dell’intelletto umano) si esprime nell’esigenza analitica di parcellizzare, classificare e separare il mondo fenomenico in “enti” distinguibili con precisione, oggettivamente determinabili, esistenti in quanto tali e connessi da presunte leggi universali: fisica-metafisica, mondo umano-mondo animale, soggetto-oggetto, mente-corpo, maschile-femminile, morale-immorale, sono solo alcune delle opposizioni cui l’attitudine analitica occidentale ha dato luogo. La necessità di ordinare e controllare il flusso del divenire, perfezionatasi nel corso della stagione positivista, ha quindi naturalizzato una visione antropocentrica e statica della realtà, irrigidita da griglie razionali di codificazione del mondo.
Diversamente il pensiero proto-cinese, culla del Taoismo e matrice dalla quale si sollevano creativamente le visualizzazioni di Sperya, si approccia alla realtà in termini olistici: la metafisica è nella fisica. Interdipendenza, connessione dei piani e complessità, sono le parole d’ordine del suo approccio. L’unica legge universale è il mutamento: essere e divenire coincidono. La ciclicità della trasformazione, l’inarrestabile flusso del cambiamento, costituiscono la realtà.
Nei quadri dell’artista, impregnati dal mistero delle formulazioni taoiste, le opposizioni classificatorie che mappano l’universo cognitivo del mondo occidentale si sfaldano. Yin-Yang – le ENERGIE POLARI, i due aspetti complementari, antitetici, ma costantemente in interazione del Tao – non sono mutualmente escludentesi: all’espandersi dell’uno l’altro si contrae, l’uno non può essere compreso in assenza dell’altro. Yin-Yang si generano e si annullano con un respiro ciclico, senza posa, che fonda una visione dinamica della realtà. L’Uno e il molteplice coesistono in un alternarsi bilanciato di antagonismi, alleanze, allineamenti, opposizioni, creazione, distruzione, che fondano la natura, l’uomo e il cosmo, intesi come altrettante espressioni del Tao-Tutto.  
A dispetto dell’attitudine antropocentrica occidentale, inoltre, è la natura nel suo ciclico mutare (giorno e notte, inverno e primavera, acqua e nuvole, preda e predatore) a rappresentare lo spartito sul quale si dispiega la sinfonia del Tao. Da dominio inferiore, sede di pulsioni ingovernabili e irrazionali (così come viene simbolizzato in numerose cosmologie occidentali), il mondo degli animali e dei fenomeni naturali assurge a Maestro, sfondo contemplativo del viandante sulla strada del Tao.
La nozione di individuo, come entità continua, separata e autosufficiente, è un’illusione smascherata da tutte le principali tradizioni orientali (Taoismo, Induismo e Buddhismo) quale rassicurante gabbia delle angosce umane. La percezione occidentale di un Io dotato di caratteristiche proprie e private, distinto in “io corporeo” e “io mentale”, è una finzione, prodotto di codificazioni culturali variabili sul piano storico, geografico, sociale, e impiantate nella mentalità umana del soggetto durante l’infanzia. Il CORPO REALE è piuttosto comprensibile in relazione d’interdipendenza con i numerosi elementi del cosmo: l’acqua (la vitalità) che lo costituisce, che lo sostanzia e gli permette di sopravvivere, la terra alla quale è agganciato, il cielo al quale tende, il fuoco (lo spirito) attraverso il quale trasforma le materie in metallo (il senso). Sono le relazioni (e non il monadico Io), le cangianti realtà del mondo – il ritmo della natura, gli animali, il respiro dell’universo, l’essenza dell’uomo – a costituire e ad essere costituite dal Tao.
L’unica verità – il flusso del mutamento – si dissolve non appena l’osservazione razionale tenta di cristallizzarla in immagini prodotte dalla mente (umana). Le immagini mentali determinano inoltre l’insorgenza secondaria di pensieri, opposizioni, emozioni e reazioni che l’osservatore – come Sperya ci ha mostrato all’inizio del suo itinerario artistico: “L’Ego. Ricordi da un Mondo Lontano” – può scambiare per la realtà, rimanendo prigioniero di un mondo inesistente.
Il PERCORSO GIALLO visualizzato da Sperya, pertanto, non solo non può essere afferrato dalla logica occidentale, ma rivela incessantemente il carattere illusorio di tale logica affermando il suo superamento come pre-requisito della vera comprensione: “il digiuno della mente”, “il nulla del pieno, il Tutto del Vuoto”, “vivendo nel mondo ma fuori dal mondo”.
Il pensiero dicotomico, che assolutizza le diversità in opposizioni nette, è estraneo al taoismo. La verità del Tao può essere raggiunta dalla mente che si fa vuota, rinuncia alla sua ambizione razionale, supera le dicotomie e si lascia agire dal Tao “non agendo” (wu wei).
Il wu wei non va interpretato come letterale astensione dall’azione, piuttosto si riferisce all’assenza di un io agente, in quanto il soggetto non si concepisce come separato dal tutto. Il saggio, l’IMMORTALE D’ORO, come un sasso o l’acqua che scorre, è parte del Tutto. La sua azione è perciò leggera, spontanea, senza attrito, non si prefigge alcuno scopo di là dal dispiegarsi della vita in tutti i suoi esseri, accade semplicemente, come il giorno e la notte. La natura è un buon modello: la rondine sa quando migrare. Non può contrastare l’incedere ciclico delle stagioni, può soltanto assecondarne il ritmo attingendo alla vera conoscenza (intuitiva e spontanea, piuttosto che razionale) che la lega al cambiamento climatico del mondo.
Partendo da categorie ricavate dalla psicologia, lo psicoanalista svizzero Jung, a proposito di questo traguardo del praticante taoista, ha scritto: “L’unione degli opposti a un livello di coscienza più alto non è una faccenda razionale né una questione di volontà, ma un processo psichico di sviluppo”.
L’esibizione di Sperya offre allo spettatore questa possibilità. Una possibilità splendidamente espressa da GERMOGLI GIALLI, opera-icona della mostra: “il potenziale vivente, l’energia originaria della vita, non appena si libera delle abitudini preventive”.

L’isomorfismo fra l’arte di Sperya e la cosmologia taoista.
La lingua dei classici taoisti, riconducibile all’ampio ceppo delle lingue sino-tibetane, evidenzia ulteriormente le caratteristiche del pensiero “orientale” antico: i caratteri cinesi (logogrammi, ideogrammi o fonogrammi) non corrispondono semplicemente a un fonema ma abbracciano simultaneamente numerosi significati e possono assumere valenze poli-grammaticali. Non sorprende che il termine Dao (Tao) rimandi simultaneamente a molteplici concetti: via, strada, cammino, corso d’acqua, condotta, modo di procedere, sapere, arte, e molti altri ancora.
Anche il testo sapienziale dell’Yijing, da cui Sperya trae diretta ispirazione, rivela un pensiero estraneo alla consecutio temporum e alla logica causa-effetto: la rappresentazione allegorica di eventi futuri o passati procede da simboli grafici – gli esagrammi – che li rappresentano già nel qui e ora del presente, attraverso possibilità d’interpretazione molteplici, mandaliche, connesse in termini non lineari.
Sperya ha intuitivamente individuato nella matematica frattale il mezzo ideale per traslare sul piano estetico-visivo gli antichi insegnamenti taoisti. L’uso dei frattali le consente di allinearsi ai presupposti fondamentali del paradigma taoista in assenza di parole. Strumento elettivo nello studio dei fenomeni naturali complessi, fedele al principio dell’autosomiglianza e dell’invarianza di scala, lungi dall’assecondare proprietà geometriche euclidee, la matematica frattale rivela infatti un principio stabilito millenni prima dagli antichi taoisti e dalla medicina tradizionale cinese: il micro-cosmo del corpo corrisponde, ed è immagine fedele del macro-cosmo dell’universo. PASSO MISTERIOSO e CIELO OCCIDENTALE costituiscono rappresentazioni immaginifiche di questa “non duale duplicità”.
E’ sorprendente e al contempo antropologicamente affascinante la trasmutazione operata dall’artista di una tecnica scientifica d’avanguardia,  la geometria frattale, elaborazione occidentale di un'invenzione (la geometria) probabilmente risalente all’antica civiltà egiziana, in uno strumento visuale che sembra sottendere lo stesso “pensiero” relazionale, frattalico ed esagrammatico del taoismo.
Non soltanto la tecnica, ma anche il suo prodotto finale (l’opera) ricalca la forma mentis della sapienza asiatica proto-cinese: gli oggetti speryani sembrano muoversi incessantemente, disegnano trame dinamiche e interconnesse, creano allegorie visive dal forte valore simbolico, interpretativo ed emotivo. Basti pensare, fra le altre, a realizzazioni quali DONNA GIALLA o FEMMINA MISTERIOSA.  
Lo spettatore che si relaziona alle opere, poste le variabili individuali, può accedere simultaneamente a molteplici livelli di esperienza corporea, sensoriale e psichica, a più linguaggi, a più culture e a più latitudini storiche, geografiche e dell'anima.
Il linguaggio simbolico dei testi taoisti si riflette nel valore simbolico-metaforico delle visualizzazioni di Sperya. Il simbolo, dal verbo greco symballo (“mettere insieme”, “connettere due aspetti distinti”), con la sua capacità di rinviare simultaneamente a diversi domini di significato, a innumerevoli possibilità d’interpretazione, ha la capacità di attivare quell’apertura alla conjuntio oppositorum che anima il Taoismo. Per contro, la filosofia analitica occidentale, orientata all’elaborazione di un unico linguaggio formale universalmente capace di identificare elementi chiari e distinti, ha sempre relegato il linguaggio simbolico – concepito come fonte di errori logici e irrazionalità – all’ambito poetico. Sperya rovescia l’assetto cognitivo occidentale in modo paradossale, utilizzando uno strumento razionale (la matematica) in termini simbolici.
Soltanto recentemente, il superamento della distinzione cartesiana fra res cogitans e res extensa è stato affermato anche in Occidente dalle scoperte della fisica quantistica, dall’antropologia socio-culturale, dall’ermeneutica filosofica e dal postmodernismo. Il linguaggio degli uomini, d’altra parte, ha ancora la necessità di controllare il flusso, nella pretesa, assieme goffa e onnipotente, di poterlo direzionare con gli strumenti della scienza e della tecnica.
Sperya, diversamente, si serve della tecnica per dare spazio all’arte di demolizione dell’Io e delle sue illusioni, e per affermare la possibilità di un percorso che consenta alla “madre dei diecimila esseri” di riabbracciare i suoi figli. Un messaggio salvifico in un’epoca contraddistinta da assurde contrapposizioni identitarie e da messaggi che stabiliscono pericolosamente la differenza e l’antagonismo fra Noi (italiani, occidentali, cristiani, maschi, etc.) e l’alterità.

Glossario: l’alfabeto alchemico della vera conoscenza.
Con le opere di “Glossario”, Sperya ha dato forma a un CROGIUOLO, sede di un “processo alchemico” di LAVAGGIO, INCUBAZIONE, ESTRAZIONE e trasformazione, finalizzato alla consapevolezza profonda. Una purificazione dagli spettri, dalle proiezioni e dai condizionamenti (culturali, religiosi, politici, economici e psicologici) della “mentalità umana”, per pervenire al traguardo dell’accettazione della realtà: l’ESSENZA CONSAPEVOLE.
Il percorso visuale dell’esposizione non fornisce dei semplici rudimenti concettuali, ma promuove la decostruzione progressiva dell’ABERRANTE, della personalità (intesa come illusione), delle abitudini compulsive, delle false certezze (interne e esterne), delle emozioni disordinate e, in definitiva, dell’io dello spettatore, per ricongiungere la mente umana alla “mente del Tao”, all’universo primordiale dell’Uno e alla PERLA della vera conoscenza.
Sperya si cimenta nell’impresa a più livelli: attraverso la tecnica, le visualizzazioni, le immagini, le citazioni degli antichi maestri, le relazioni non lineari fra i percetti all’interno di ogni singola opera e nel rapporto fra le opere, in un continuo rimando fra passato, presente e futuro, interno e esterno, molteplice e Uno. Le sue creazioni esprimono le allegorie nodali dei testi taoisti attraverso le allegorie visive e immaginifiche cui perviene la creatività tecnica e mistica dell’artista. La complessità del pensiero taoista viene vivificata nella contemporaneità da un linguaggio che ne rispetta la struttura e i presupposti, ma che ha anche il merito di ampliare le possibilità di meditazione e trasformazione innescate dalla millenaria sapienza orientale, affiancando ai testi le visualizzazioni catartiche dell’immaginario speryano.
L’artista sembra davvero in una posizione ideale per farsi interprete del Tao: la sua biografia, un coacervo non lineare di trame eclettiche, inter-culturali, capaci di raccordare esperienze apparentemente inconciliabili, sembra una traslazione esistenziale delle complesse iterazioni dei suoi quadri. Il Taoismo, divenuto per Sperya pratica corporea, filosofica, mistica e artistica, sembra rappresentare il fine ultimo (e assieme l’origine) a cornice della sua produzione.
Gli antichi saggi cinesi individuerebbero nel suo sforzo un’“intenzione veritiera”: Sperya non si è mai lasciata sedurre dalle sirene della commercializzazione e dello svuotamento volgare dell’arte. Piuttosto, ha individuato nell’arte uno strumento etico di divulgazione del Tao.
Recentemente ho avuto l’occasione di ascoltare l’artista riflettere intimamente sul significato della sua esperienza. Mi sembra che le sue parole esprimano in modo toccante l’anima di “Glossario”: “Nascendo, si esce. Morendo, si entra. Alla nascita siamo unità. Non siamo ancora frammentati. Poi, il mischiarsi con il condizionante fa si che ci frammentiamo. Se non arriviamo al rientro ‘uniti’, così come siamo ‘nati e usciti’, non potremo rientrare. Il non poter rientrare è una condizione della mente umana che, purtroppo, in questa dimensione temporale non può astenersi dal costruire storie”.
Questa esposizione può certamente rappresentare un veicolo meditativo di “rientro” e ritorno alla “non-dualità del prima”, ad uno stato di silenzio interiore, di LIBERTÀ, che è preludio al librarsi dell’anima nel volo estatico, a ciò che l’alchimia taoista definisce ELISIR: rimanere tranquilli, distaccati dagli affanni del mondo, tersi come uno specchio, evolvendo in sintonia con il mutare delle cose.


Giuseppe Bolotta
(Psicologo e Antropologo - pubblicato sul catalogo della mostra personale di Jeannette Rűtsche - Sperya "Il Ritorno Invisibile - GLOSSARIO", Milano 2015)



Note biografiche di Giuseppe Bolotta
Giuseppe Bolotta è psicologo e antropologo. Dall’ottobre del 2015 è ricercatore (post-Doctoral fellow) presso la National University of Singapore (NUS) – Asia Research Institute (ARI). Il progetto di ricerca al quale si sta dedicando attualmente mira ad esplorare comparativamente il ruolo delle organizzazioni umanitarie (ONG) buddhiste, cattoliche, protestanti e laiche attive nelle baraccopoli di Bangkok (Thailandia).
Ha conseguito la Laurea specialistica in Psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e il Dottorato di Ricerca in Antropologia all'Università di Milano-Bicocca. La sua ricerca di dottorato esamina le politiche istituzionali, religiose e umanitarie che si rivolgono ai minori nelle baraccopoli della capitale thailandese. E’ stato visiting research student alla facoltà di Scienze Politiche della Chulalongkorn University di Bangkok.
Ha co-fondato, assieme ad alcuni giovani accademici francesi, il gruppo di ricerca “Sciences de l'Enfance. Enfants des Sciences” e ha collaborato in veste di psicologo con la ONLUS “Psicologi Senza Frontiere” (PSF).
(aggiornamento al 2015)
Immagini pubblicate in questo sito © Jeannette Rütsche - Sperya, Milano
Images displayed on this site © Jeannette Rütsche - Sperya, Milan (Italy)
Images © Jeannette Rütsche - Sperya, Milan (Italy)
Images © Jeannette Rütsche - Sperya, Milan (Italy)
Images © Jeannette Rütsche - Sperya, Milan (Italy)
Torna ai contenuti | Torna al menu