Giuseppe Bolotta - Set 2013 - L'arte frattale di Jeannette Rütsche - Sperya

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya


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Giuseppe Bolotta - Set 2013

ABOUT SPERYA > Testi critici

GIUSEPPE BOLOTTA
Settembre 2013



L’accesso allo spazio museale speryano promuove nel visitatore un’esperienza di forte discontinuità: spaziale, temporale e dell’io.
Discontinuità del tempo: il tempo cui le opere di Jeannette rinviano, e dal quale sono informate, è un tempo fortemente difforme rispetto a quello della “quotidianità umana”: qualitativo e frattalico piuttosto che lineare, quantitativo e cronometrico. Non è un’entità astratta frazionabile in secondi, ore, minuti. Nel suo incessante dinamismo si riferisce sincronicamente al passato, al presente e al futuro. L’impressione che se ne ha è quella di una congiunzione cosmica tra temporale e atemporale. E’ il tempo dell’eterno che trasmutando rende particolare la materia offrendo frammenti estetici di verità universale: le opere speryane.   
Discontinuità dello spazio: lo spazio speryano non offre orientamenti cardinali nè euclidei. Si espande al contempo verso le quattro polarità. L’espansione non lineare non produce tuttavia disorientamento ma ampliamento, assimilazione armonica di dimensioni contraddittorie. Esperienza della “quaternità”.
Discontinuità dell’io: La relazione con gli “oggetti” speryani produce l’evaporazione dei contenuti contingenti dell’io del visitatore. L’io inteso come identità storico-biografica particolare cessa di assumere imperativa importanza. Non potendo beneficiare dei consueti riferimenti spazio-temporali, l’io si rivela nel suo carattere illusorio e menzognero. Emerge la natura universale del Sè come partecipe del tutto.

Congedandosi dall’universo speryano, il visitatore, se capace di esperire la “conjunctio oppositorum”, la sincronicità dell’esperienza che le opere di Jeannette evocano, percepirà la sua coscienza come espansa, intuitivamente consapevole del legame fra i  piani diversi dell’esperienza, fra conscio e inconscio, pianta e animale, ieri e domani. Forse, alla luce di tale esperienza, avvertirà con meno urgenza la necessità di marcare i confini dell’io a scapito dell’altro, di auto-centrarsi, di fare dei propri falsi problemi il centro organizzatore dell’esperienza psichica. Forse, sorriderà osservando il sole sorgere, il fiore appassire, il passero cantare, il vento spirare. Ciclicità eterna dell’essere al quale ha la fortuna di appartenere. Forse, come raccomanda il leggendario fondatore del Taoismo, Laozi, sarà più predisposto ad abbracciare l’Uno.

L’esperienza di discontinuità radicale offerta dalle opere di Sperya qualifica il carattere “sacro” della sua ricerca (in latino sacro, sacer-, “separato dal resto”, qualifica un dominio dell’esperienza non ordinario, imprevedibile, separato dalla contingenza fenomenica del reale e rivolto, nel caso di Jeannette, a cogliere la verità eterna del divenire).
Per questo, e in conformità con l’intento sovversivamente disvelatore della produzione speryana, concludo questa postfazione  dove la convenzione avrebbe voluto cominciasse, dal titolo: “kivijaqôl” (termine ebraico traducibile con la perifrasi “se così si può dire”. Veniva utilizzato per indicare l’ossimoro per cui ai testi sacri si chiedeva di esprimere qualcosa sul divino attraverso il linguaggio umano, strutturalmente inadeguato allo scopo).


Giuseppe Bolotta
(Psicologo e Antropologo - pubblicato sul catalogo della mostra personale di Jeannette Rűtsche - Sperya IL RITORNO INVISIBILE, Mantova 2013)

Immagini pubblicate in questo sito © Jeannette Rütsche - Sperya, Milano
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