Chiara Cinelli - Nov 2015 - L'arte frattale di Jeannette Rütsche - Sperya

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya


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Chiara Cinelli - Nov 2015

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CHIARA CINELLI
Novembre 2015



Jeannette Rütsche Sperya: "Glossario"

Il Mistero senza nome dell'esistenza


Nel contesto del percorso artistico-filosofico denominato “Il Ritorno Invisibile”, la sezione “GLOSSARIO” rappresenta la naturale risposta a un’intima esigenza che l’artista Jeannette Rütsche Sperya ha maturato in anni di appassionata e infaticabile ricerca. Addentrandosi nello studio dell’antico pensiero cinese, l’artista ha sperimentato l’insufficienza dello schema semiotico significato-significante nella comprensione ed espressione delle parole simboliche che compongono i testi classici taoisti, arrivando a sentire, con sincera intenzionalità, il bisogno di trasporle in codici visivi.

Per tentare di afferrare la portata filosofica dell’opera di Sperya e, in particolare, questo snodo essenziale del suo percorso, si rende necessaria una riflessione preliminare sui concetti di simbolo e di immagine artistica e sulla loro contiguità analogica.
Storicamente, il concetto di simbolo assume connotazioni diverse, caricandosi di volta in volta di riferimenti mistici, antropologici, estetici, onirici e poetici, a seconda del contesto in cui è elaborato. Guardando all’orizzonte filosofico e poetico da cui trae impulso l’opera di Sperya, pare particolarmente calzante il contributo del poeta e teorico simbolista russo Ivànov, che afferma con grande lucidità: “Il simbolo è veramente tale soltanto quando esso è inesauribile e sconfinato nel suo significato, quando esso esprime nel proprio linguaggio arcano (ieratico e magico) dell’allusione e della suggestione qualcosa di inesprimibile, qualcosa rispetto a cui la parola esteriore è inadeguata. Esso possiede una molteplicità di volti e di pensieri ed è oscuro nella sua remota profondità … Esso è una formazione organica, come un cristallo…”. Tale è la natura simbolica dei testi classici da cui Sperya trae ispirazione e delle immagini che ne sono l’ideale trasposizione visiva. L’artista ha compreso quanto vano sia il tentativo di concettualizzare un simbolo, di ridurlo a categorie o di decifrarne il senso per via razionale; la sua organicità e integralità non lo rendono soggetto alla scomposizione e quindi lo sottraggono ai processi della logica, che troppo spesso soggiogano la mente umana. Liberarsi dal condizionamento del pensiero razionale e sovra-strutturato è il primo passo per aprirsi alla comprensione reale e profonda del “linguaggio” simbolico, abbandonandosi alla sua suggestione e al suo potere evocatore.
Il simbolo si eleva al di sopra dell’essere umano e del mondo, dischiudendo valori universali; esso è un “varco” su territori sconfinati che, per essere attraversati, richiedono vuotezza interiore e disponibilità a lasciarsi compenetrare. Quando Sperya parla di “varco”, alludendo alle parole simboliche incontrate nei testi taoisti, connota implicitamente anche le immagini da lei create per dar forma visiva a quelle stesse parole. La vera immagine artistica – che nasce sempre da un’intenzione sincera – rappresenta infatti l’ideale corrispettivo visuale del simbolo, in primo luogo per l’impossibilità di racchiuderne il senso nel recinto di una lettura di tipo razionale. Una qualità propria delle grandi opere d’arte di tutti i tempi consiste, infatti, nella capacità connaturata in esse di suscitare sentimenti complessi: al loro cospetto si è chiamati a un’osservazione pura, svuotata di intenzionalità razionale e aperta ad accogliere il complesso mondo che l’opera incarna e le infinite possibilità che tale complessità rivela. Nella sua accezione più alta, l’immagine artistica possiede una natura organica analogamente al simbolo: non la si può sezionare, tentando di estrarre da essa questo o quel significato, senza che il senso generale si impoverisca.

Abbandonandosi all’osservazione delle opere frattali che animano questo affascinante percorso espositivo, si ha dunque l’opportunità, sempre più rara in arte, di vivere un’esperienza di soglia: le immagini che si susseguono di fronte al nostro sguardo ci invitano a proiettarci al di là di un’ideale varco, oltre il quale si aprono territori intimi, in cui spesso ritroviamo sentimenti sopiti, antichi riflessi di vita realmente vissuta che si mescolano, indissolubilmente, a orizzonti più vasti, dove la Terra e il Cielo si incontrano e l’esistenza del singolo è inscindibile dall’armonia del Tutto.
Il percorso si apre, significativamente, con due opere-bandiera, la cui allusività poetica, unitamente al dinamismo che la luce infonde al colore, ci introduce in un clima percettivo quasi musicale, in cui l’astrazione diventa il regno delle possibilità, un invito a perdersi per poi ritrovarsi con maggior pienezza.
Lungo il percorso, che procede come una progressiva rivelazione, alcune opere segnano passaggi cruciali. Penso, in particolare, a INCUBAZIONE, nel cui vorticoso e incessante movimento finalizzato a un centro di pura luce, l’artista condensa quel processo di purificazione necessario a intraprendere la via dell’illuminazione, ovvero della vera conoscenza, magnificamente incarnata dall’opera PIOMBO INCONTRA INVERNO, un’immagine di pacata fermezza che invita al silenzio interiore e si fa ammirare con lentezza, svelandosi poco a poco. Il viaggio ad EST, ovvero dentro se stessi, è intrapreso e, con esso, può aver luogo il risveglio interiore, visualizzato da un rosso intenso e vitale, la cui profondità di tono ritroviamo nell’opera PERLA, al cui cospetto l’osservatore è trascinato oltre l’immagine stessa, grazie al chiarore profondo del suo prezioso “tesoro”, in cui Sperya dà corpo alla conoscenza “chiarificata”. Procedendo sulla strada della vera conoscenza, si arriverà alla riunificazione tra lo yin e lo yang, al supremo equilibrio simboleggiato dalla circolarità flessibile e aerea della FEMMINA MISTERIOSA: in quest’opera, una forza segreta sembra volgere il movimento verso un centro di pura luce, mentre l’uso dei colori rimanda all’immagine dello SPIRITO DELLA VALLE, che ne rappresenta l’ideale contrappunto. Qui ritroviamo quello stato di quiete sospesa, di vuoto ricolmo di vita, che è terreno fertile per la nascita dei lucenti GERMOGLI GIALLI, semi fecondi di nuova vita, la cui energia purificata si sprigiona, elevandosi oltre ogni condizionamento terreno.
Infine, tutto trova sintesi e compimento nel mistero senza nome de LA VIA. Il viaggio è compiuto e la fine ci riconduce al principio: lasciarsi sprofondare nel mistero insondabile dell’esistenza, dissolvendosi in esso con umile e ricettiva predisposizione all’ascolto, è ciò che schiude la porta della Verità.


Chiara Cinelli
(Critico d'Arte e Giornalista - pubblicato sul catalogo della mostra personale di Jeannette Rűtsche - Sperya "Il Ritorno Invisibile - GLOSSARIO", Milano 2015)



Note biografiche di Chiara Cinelli
Laureata in Lettere Moderne con indirizzo in storia delle Arti e dello Spettacolo, si dedica da circa 10 anni all’attività di comunicazione in ambito artistico–culturale e medico-scientifico. Giornalista dal 2008, collabora con diverse testate cartacee e web, occupandosi prevalentemente dei settori arte-cultura, spettacolo e medicina. Parallelamente, svolge attività di progettazione e curatela di mostre d’arte contemporanea, redazione di testi critici, promozione di giovani artisti, cui accompagna l'attività di progettazione ed editing di cataloghi d’arte. Anima insieme a Francesca Bianucci l’attività di BC studio.
(aggiornamento al 2015)
Immagini pubblicate in questo sito © Jeannette Rütsche - Sperya, Milano
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